La scuola di vico Portali

Racconti, personaggi ed immagini per scrivere la storia di Sant’Anastasia
di Lello Sodano
Le dichiarazioni dell’ex presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, rese su un social, hanno lasciato me e tante altre persone abbastanza sconcertati. Sarà pur vero che ormai noi anziani non siamo più produttivi e potremmo essere un peso per la società, ma nel nostro patrimonio di esperienze possediamo il bagaglio dei ricordi, di ciò che eravamo, di ciò che abbiamo fatto, e che possiamo trasmettere alle future generazioni. Ricordava il cardinale Christian Tumi, Presidente della Conferenza Episcopale Africana, che quando un anziano muore è una biblioteca che brucia.
Ed adesso vorrei parlarvi, a proposito di ricordi, della scuola di via Portali.
Quella di via Portali è stata l’unica scuola di Sant’Anastasia per lunghissimi anni. Prima che il nuovo edificio venisse inaugurato la scuola si trovava in uno stabile fatiscente situato tra piazzetta Scuole Elementari e Vico Forno, un ambiente abbastanza malsano come mostrano le poche foto dell’epoca; quando la scuola fu trasferita al nuovo edificio il piccolo stabile fu dapprima occupato dalla società di elettricità S.M.E. e successivamente dal Comune che lo ha adibito ad Ufficio Anagrafe. Ricordo che davanti al piccolo edificio vi erano due alberi di palme e che noi ragazzi, piegando le palme, le usavano come se fossero delle liane. Al sabato il piazzale veniva occupato da commercianti di scale e treppiedi in legno che venivano acquistati dai locali contadini.
Agli inizi degli anni ’30 cominciò a funzionare la nuova scuola elementare di via Portali, ma solo poche aule erano state costruite e l’edificio come lo vediamo adesso fu ultimato ed inaugurato nel 1938. Durante gli ultimi lavori un terrapieno che dava sull’attuale via Mario De Rosa crollò travolgendo un operaio provocandone la morte. Si provvide a costruire un muro di contenimento e poi le scale in piperno che danno accesso dalla stessa via De Rosa, congiungendosi con vico Portali.
La costruzione per quell’epoca era abbastanza imponente e nello stile ricalcava l’architettura fascista; in zona pochi comuni avevano un edificio scolastico come il nostro e fino alla creazione di un altro circolo didattico è stata la scuola di molte generazioni di anastasiani.
Alla fine degli anni ’40 dello scorso secolo ci recavamo a scuola con una cartellina di cartone pressato dove all’interno vi erano due quaderni, il sussidiario e una penna con pennino, l’inchiostro ci veniva fornito dalla scuola e provvedeva la bidella a riempire i calamai che erano incassati nel banco. Non tutti venivano a scuola con la cartella, molti recavano con loro un libro e quaderni sciolti. Il grembiulino nero con colletto bianco e fiocco i più indigenti non se li potevano permettere ed a volte il loro grembiule era cucito a mo’ di giubbino. Moltissimi miei coetanei, almeno nei primi anni del dopoguerra, calzavano soltanto zoccoli di legno e ricordo che tantissimi venivano mangiando un tozzo di pane inzuppato nell’orzo; la loro fame sarebbe stata saziata più tardi durante la refezione riservata ai meno abbienti. Le mani di tanti ragazzi presentavano i segni della sofferenza da geloni, sintomo di freddo e di scarsa nutrizione, in aggiunta al colore verdastro, quest’ultimo dovuto al maneggio delle erbe per lucidare il rame, compito che i “ramai” riservavano ai bambini. Questi ultimi provvedevano alla raccolta di un’erba particolare che noi chiamavamo “evera ‘e fetiente”, la quale, abbinata ad altri acidi, rendeva scintillanti le caldaie ed i bracieri, ma nello stesso tempo bruciavano la pelle. Era davvero un’infanzia molto triste: il connubio principale era scuola e lavoro, e poco spazio era riservato al divertimento. A volte l’unico svago era la corsa con il cerchio e la costruzione del “carruociolo”.
Anche l’uso del cerchio aveva un suo scopo: i “masti ramai” lo davano in dotazione ai loro garzoni perché corressero quando dovevano recarsi a sbrigare una commissione, erano certi che avrebbero impiegato poco tempo!
Nei vari anni si sono succeduti diversi direttori didattici quasi tutti provenienti dalla vicina Napoli, ma il “deus ex machina” dell’istituto è stato per lunghi anni un prete, don Gabriele Paparo: insegnante severo non tanto per i suoi metodi didattici, ma per le sue bacchettate che infliggeva su delle mani già martoriate.
Quando ricordo e scrivo devo stare attento a non farmi rigare il volto da qualche lacrima. Quei ragazzi di ieri sono i nonni dei ragazzi di oggi e credo che abbiano raccontato con serenità ai loro nipoti le vicissitudini e la successiva lotta per uscire fuori da un tunnel che sembrava non avere mai fine. Ciò che stiamo vivendo oggi non ha termini di paragone con quello che abbiamo vissuto ieri.
Anni dopo, 1978 circa, lo stabile cominciò ad avere problemi strutturali diventando anche abbastanza fatiscente per la mancanza di lavori di manutenzione che non venivano mai eseguiti, ed è rimasto chiuso ed abbandonato per circa 10 anni. Oggi, dopo il restauro e consolidamento è tornato di nuovo ad ospitare gli scolari. Ma i tempi sono per fortuna cambiati: la cartella di cartone è stata sostituita da zaini firmati dove all’interno trovano posto merendine varie, le moderne biro hanno preso il posto dei pennini, e gli zoccoli… da scarpe Nike, Timberland e company!






