Quella storia preziosa riannodata dal compianto Cosimo Scippa nei suoi tre libri

Un grande merito ha avuto, senza dubbio, Cosimo Scippa, che di Sant’Anastasia è stato anche sindaco. Lavorò a lungo per ricostruire una storia di Sant’Anastasia che compose in tre libri. Qualche estratto sarà cosa lieta riportare qui…
Sant’Anastasia è uno dei più grandi paesi della provincia di Napoli; si trova ai piedi del Monte Somma (immerso nella sua aria pura e balsamica), a 150 metri sul livello del mare, latitudine 40,8672 e longitudine 14,3965, a meno di 15 km dal centro di Napoli, ha una popolazione di 27.000 abitanti circa, è caratterizzato da una vivace attività commerciale, artigianale (la lavorazione del rame, per esempio, il cui boom avvenne nel 1848) e agricola (assecondata da un terreno fertilissimo). Infatti, già nel 1600 i venditori di frutta gridavano tutti i giorni per le strade di Napoli: “Ca’ tutto cierto è sapurito e bbuono, masseme ‘sti cerase cuovete mo’ a Somma e a Santo Anastase”. Famosissimi sono i capretti di Sant’Anastasia, che una volta venivano allevati nelle masserie della nostra montagna, oggi invece provengono da varie parti. Per quanto riguarda le attività industriali, la fabbrica più importante è senza dubbio la Corderia Napoletana, che fu costituita nel 1919.
Una parte del territorio di Sant’anastasia è compreso nel Parco Nazionale del Vesuvio, istituito nel giugno del 1995 per salvaguardare l’unico vulcano attivo dell’Europa continentale dalle aggressioni del cemento, rifiuti, traffico, incendi… Per far conoscere appieno le tradizioni, i valori, l’agricoltura, i sapori legati al vulcano più famoso del mondo, di cui hanno parlato i più grandi scrittori di ogni tempo ed è stato visitato da personaggi illustri come Mozart, Goethe, Dumas, Stendhal, Dickens, Andy Warrhol, Shelley.
S. Anastasia ha origini antichissime. Lo dimostra la presenza nella proprietà Marciano di una tomba di epoca romana. Nel 73 a.C. un avvenimento storico la toccò molto da vicino: Spartaco, con 70 compagni (tra cui Crisso ed Enomao) in fuga dalla scuola gladatoria di Lentulo Baziato a Capua, si rifugiò sul Vesuvio e (probabilmente con l’aiuto di abitanti del luogo) riuscì ad aggirare e colpire alle spalle i Romani, capeggiati dal pretore Claudio Glabro.
Dopo la caduta dell’Impero romano, il borgo Santo Nastagio fu interessato da conflitti tra Bizantini e popolazioni barbare che erano scese in Italia. Durante il periodo bizantino il territorio faceva parte del Ducato di Napoli, spesso in conflitto con il Ducato di Benevento. Da alcuni documenti risulta che intorno all’anno Mille il paese non veniva più chiamato Santo Nastagio, ma Sant’Anastasia. Solo a causa di errori di copisti o di notai troviamo successivamente il nome Santo Anastaso. Il nostro casale seguì le sorti di Napoli: nel 1266 gli Angioini subentrarono ai Normanni, valorizzando molto il territorio vesuviano; sul finire del regno di Roberto d’Angiò, Sant’Anastasia venne ceduta alla famiglia Barrese; dal 1435 e fino al primo decennnio del ‘700, con l’avvento al potere degli Aragonesi, entrò nella sfera d’influenza spagnola.
Verso la fine del 1500 vi erano sei strade principali: Trio, Capolavilla, Ponte, Li Terracciani, Piazzanova col Mulino, Casa Palmese; tre zone rurali: Starza, Romani e Carafa; tre chiese: S. Maria La Nova, San Bernardino (S. Antonio) e Madonna dell’Arco. Il nostro paese apparteneva al feudo di don Ferrante di Cardona (duca di Sessa Aurunca), contro il quale nel 1592 ci fu una rivolta degli Anastasiani (sfociata nel sangue), per cui fu costretto a vendere Sant’Anastasia al viceré di Napoli. La sede del Governatore era a Somma Vesuviana (con cui ci sono stati numerosi contrasti) e il nostro paese era il “casale” più grande del territorio di quest’ultimo. Aveva 510 “fuochi”, cioè 2550 abitanti (ogni fuoco equivaleva a 5 abitanti).
Pur essendo situato a poca distanza dal Vesuvio, è ben protetto dal Monte Somma, che funge quasi da scudo. Dal 79 d.C. fino al 1943 ci sono state 35 eruzioni (oltre a terremoti e pestilenze), che hanno provocato danni, ma mai disastri.
Il 6 aprile del 1450 avvenne un fatto straordinario. Un giovane, mentre giocava a palla-maglio, non riuscì a fare andare la palla più lontano di quella del suo avversario, perché fu fermata dal tronco di un tiglio, che si trovava vicino all’edicola dell’immagine della Madonna dell’Arco (così chiamata, in quanto si trovava nei pressi dei resti di alcuni archi di un acquedotto romano). Questi si mise a bestemmiare selvaggiamente e alla fine, non contento, scagliò la palla contro la guancia sinistra dell’immagine sacra, dalla quale subito cominciò a gocciolare sangue. Il giovane sacrilego sarebbe stato sicuramente linciato, se non fosse intervenuto prontamente il conte di Sarno. Il miracolo attirò un’enorme massa di fedeli, che portò anche enormi entrate monetarie. Seguì una lunga contesa tra il Vescovo di Nola, il Comune e i Domenicani. I lavori per la costruzione del Santuario di Madonna dell’Arco (che inglobava l’edicola e la chiesetta costruita intorno ad essa) iniziarono nel 1593 e terminarono nel 1610, ma già nel 1594 il Papa assegnò il Santuario ai padri Domenicani, i quali ottennero anche la gestione temporale. Non mancarono, però, nuove ed aspre polemiche: il Comune chiedeva dei contributi, che questi non sempre accettavano di versare o davano solo in parte. Tra tutti questi brutti litigi, avvenne un altro grande miracolo (redatto dal notaio Carlo Scalpato di Nola nel 1675): il miracolo delle stelle. Un religioso del convento, mentre pregava, vide risplendere piccole stelle d’oro intorno alla lividura della guancia sinistra della Madonna. Pensando fosse un’allucinazione, chiamò il Sacrestano, poi il Priore e infine tutti gli altri religiosi. Venne constatato che si trattava di un vero e proprio miracolo. Successivamente accorsero il Viceré di Napoli, il futuro Papa Benedetto XIII ed altre autorità, tutti estasiati di fronte a un tale prodigio.
Carlo III (il Re del più vasto Regno d’Italia, dal ritorno della dinastia borbonica nel 1734) conosceva molto bene Sant’Anastasia. Partiva regolarmente da Portici per una lunghissima battuta di caccia ed arrivava fino al “Palagio” del duca della Castelluccia, che si trovava, appunto, nel nostro paese. Il successore di questo Re fu Ferdinando IV, noto per il suo carattere allegro, per il fatto che parlava spesso napoletano, amava giocare a biliardo e gli piacevano molte altre attività sportive. Chiaramente anche lui era circondato da molti nobili, di cui si fidava poco, stando a ciò che disse un giorno quando vide il Ministro del Tesoro Tanucci: “St’arrivanne on Gaetano, guardammece ‘e sacche!”. E a Sant’Anastasia vi era la residenza di alcuni di questi nobili. Il cavaliere Viola apparteneva a una famiglia che possedeva gran parte del nostro territorio. Anche il pio Monte della Misericordia possedeva grandi proprietà. In questo periodo, in cui Sant’Anastasia era ancora casale di Somma Vesuviana con 8.000 abitanti circa, accadevano fatti piuttosto misteriosi: abbondavano morti per avvelenamento. Il Re istituì la “Giunta dei Veleni” con a capo un Magistrato per indagare su queste cause, ma fu tutto inutile.
Un nostro compaesano, nobile sotto l’aspetto spirituale, di cui molti si sono dimenticati, è Francesco Maria Castelli. Nacque in un vicolo di via S. Eligio il 19 marzo 1752, divenne allievo prediletto di san Francesco Maria Bianchi, morì prematuramente all’età di 19 anni, il suo corpo venerabile si trova nella Chiesa di S. Maria di Caravaggio (piazza Dante, a Napoli). Le sue ricchezze spirituali erano immense: gli Anastasiani, non appena lo vedevano, spesso esclamavano: “Esce ‘o sole”. I suoi maestri (i Padri Barnabiti di San Carlo alle Mortelle a Napoli) lo definivano “piccolo angelo”. Nel vicoletto che porta il suo nome (“Beato Castelli”) vi sono due cappelle: in una si dedicava all’insegnamento religioso dei fanciulli, l’altra era una stanza in cui morì. E’ in corso la causa di beatificazione. Infatti, vi sono molte testimonianze di grazie ricevute.
Della sepoltura dei morti sotto la chiesa madre S. Maria La Nova si occupava l’Arciconfraternita del Monte dei Morti. Per iscriversi bisognava pagare: dai 10 ai 20 anni, carlini 10; dai 20 ai 30 anni, carlini 20; e dopo ad arbitrio del Priore. Era divisa in due sezioni: nobile e idioti (riservata agli analfabeti). Era un’associazione animata da sentimenti morali e sociali, ma divenne bersaglio di superstizioni e scherno, come quando un venditore di frutta, vedendo uno di loro nei pressi di via Garibaldi, si grattò il basso ventre, ricevendo un’ammonizione (riguardante una sua probabile brutta fine all’inferno) da parte del cav. Maione, che era in compagnia dell’arciprete Paparo. Il venditore superstizioso, chissa perché, dopo pochi giorni morì avvelenato.
Molta importanza si dava alla cultura musicale e l’origine della banda musicale di Sant’Anastasia risale certamente al 1767, quando un sergente di una compagnia militare (Vincenzo Iorio, che tra l’altro riparava vecchi strumenti musicali) chiese a Luigi Maione di Capodivilla di dare lezioni di musica ai suoi figli. Iniziò così l’attività di una banda musicale, che si affermò nelle piazze di tutto il Regno, con valenti direttori e maestri, tra i quali Francesco Benelli, il cavaliere Giuseppe Coppola (con la prima tromba Giuseppe Visone), Giuseppe Avallone, Francesco D’Alise, Gerardo Ricciuti.
Il vecchio cimitero “nacque” (se così si può dire) nel maggio 1764 (in piena primavera) in seguito alla violenta carestia che ebbe inizio nel mese di gennaio dello stesso anno, provocando più di 700 morti. Il pane era quasi introvabile e i più poveri erano costretti a pascere erbe per le siepi come animali.
Nel 1800 l’Università di Napoli era molto famosa e conferiva l’approvazione, la licenza e la laurea. Inoltre, rilasciava attestati di abilità di agrimensori, farmacisti, levatrici, salassatori e dentisti. I primi anastasiani a laurearsi furono il dottor Vincenzo Miranda (1819), l’ing. Francesco Stella (1820), l’avvocato Coppola (1822). Con l’avvicinarsi del Natale venivano gli zampognari dalla provincia di Potenza. Nell’antivigilia passavano per le case per ricevere il giusto compenso, avvalendosi del coro dei bambini, che gridavano: “Pava-pava” (“Paga-paga”). La “Bannera”, la ditta di generi alimentari più antica di Sant’Anastasia, consegnava la “sfrattatavola”: una “canestra” piena di cibi natalizi. E l’Amministrazione comunale si dava da fare illuminando meglio le strade del paese con qualche lume a petrolio in più. I “tronari” vendevano i fuochi d’artificio. Il giorno di Natale, poi, i Consiglieri, il Sindaco e la Giunta si ritrovavano nella Chiesa S. Maria La Nova alle ore 11.
Nel 1822 San Francesco Saverio divenne patrono del nostro paese. Un santo spagnolo missionario in India, Malaysia, Sri-Lanka, Giappone e che morì mentre cercava di raggiungere la Cina.
Il 15 marzo 1891 venne nominato segretario del comune il padre di Carlo Cattaneo, un nostro valoroso compaesano che ricevette la medaglia d’oro al valor militare.
Intorno al 1860 S. Anastasia era infestata da una banda di briganti che spadroneggiava in maniera selvaggia, aveva il covo sulla montagna, depredava semplici cittadini e famiglie nobili, molte delle quali furono costrette ad abbandonare il nostro paese. Alla fine i Carabinieri e la Guardia Nazionale arrestarono i componenti della banda. Il loro capo Vincenzo Barone (fratello di un sacerdote, illuso e vittima di un esasperato protagonismo) venne ucciso e il suo corpo fu esposto con la testa appoggiata allo scalino della fontana di piazza Trivio.
La Pentecoste nel nostro paese era una festa molto sentita. Numerosi scrittori e pittori ne rimasero colpiti. Nel Museo Nazionale di San Martino (a Napoli) ci sono due tele di Gaetano Gigante: “Pellegrinaggio a Madonna dell’Arco”; al Museo di Louvre si trova “Il ritorno del pellegrinaggio della Madonna dell’Arco” di Louis Leopold Robert; mentre nel Museo Des Beaux Arts di Angers è esposta un’enorme tela di Guillaume Bodinter dal titolo “La festa della Madonna dell’Arco”.
Nel 1864 Sant’Anastasia, per non pagare le tasse allo Stato italiano fondato da poco tempo, si dichiarò “Comune chiuso” (e rimase tale per 20 anni circa). Ciò provocò solo uno stato di anarchia e abbandono da parte degli organi statali. Infatti, nel 1868 l’Amministrazione provinciale tracciò la strada che porta da S. Maria La Nova a Pomigliano, ma non terminò i lavori per mancanza di fondi e per scarsa considerazione verso il nostro paese. Gli Anastasiani rimasero nella polvere e nel fango per oltre trent’anni.
Nel 1891 Maione e Liguori pubblicarono il primo giornalino del paese intitolato “Palestra Vesuviana”, basato solo sui pettegolezzi. Dopo qualche mese, con lo stesso stile, il gruppo opposto di Viola e De Luca pubblicarono “Sentinella Vesuviana”. Non contenti, questi ultimi aprirono anche “Il Circolo della Cacca”. Le aspre polemiche, com’è facile capire, portarono allo scioglimento del Consiglio comunale.
L’allacciamento alla condotta idrica proveniente da Serino (e che arrivava fino a S. Giorgio a Cremano) fu fatto nel 1895, a caro prezzo. Ci si trovava in tempo di elezioni e, pur di apparire dei benefattori dei cittadini, non si badò a spese e a imbrogli, che per poco non portarono il Comune sull’orlo della bancarotta.
Andò meglio nel 1900, quando l’intero impianto di illuminazione a luce elettrica venne affidato dall’Amministrazione comunale ad Alfredo Clemente di S. Luca, barone di S. Cristina, il quale si impegnò pure a provvedere ad illuminare le strade con un impianto a petrolio di riserva, in tutti i casi in cui l’impianto a illuminazione elettrica fosse rimasto temporaneamente spento.
Sembra strano, ma la principale attività industriale dal 1847 al 1910 era la lavorazione dei pesci salati (con relativo sversamento nelle strade di acqua sporca).
Nei primi anni del dopoguerra i ragazzi si divertivano con il gioco “mazza e pivizo” (una specie di baseball), costruivano ” ‘o carruociolo ” (una macchinina molto rudimentale, fatta con 4 ruote, una piccola tavola di legno e un filo di spago per volante), giocavano a pallone con vecchie canottiere e mutandoni abilmente adattati al nuovo impiego; le ragazze si costruivano da sole le loro bambole e giocavano a campana. Si andava al cinema “Don Pasquale” nei pressi del Municipio, e quando venne chiuso si cominciò a frequentare l’ “Arena Metropolitan” che si trovava vicino all’attuale cinema. Attorno al braciere di rame le famiglie si riunivano per recitare il rosario.
In politica esistevano due schieramenti: la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista. Sant’Anastasia, purtroppo, fu spesso governata nel peggiore dei modi, tra debiti, pettegolezzi, irrazionalità, pochi sprazzi di lealtà e amore per il prossimo, tanto che già nel 1896 il Sindaco ing. Liguori ritenne molto opportuno sottolineare che “la lealtà, signori, è una virtù insostituibile e un sentimento inalienabile che rallegra l’animo umano, perché sprigiona il senso dell’equilibrio dei propri mezzi e determina la serenità della propria mente.” Infatti, c’era poco da rallegrarsi. In particolare, in una situazione di analfabetismo molto esteso, alcuni scaltri “signori” che praticavano l’usura riuscivano a impadronirsi facilmente delle proprietà degli ingenui che chiedevano un prestito e che poi non erano in grado di soddisfare. Nel 1862 S. Anastasia aveva più di settemila abitanti, venne introdotto il nuovo sistema di pesi e misure: non più la “canna” ma il metro, il “rotolo” venne sostituito dal chilogrammo, il litro sostituì la “caraffa”. Il periodo fascista mise in mostra tutti i suoi aspetti violenti e volgari: la deposizione arbitraria del Sindaco Liguori nel 1925, le giuste proteste sedate con il ricorso alle armi, la deportazione degli Ebrei (in cui venne coinvolta anche una donna anastasiana, rea del semplice fatto di essere stata alle dipendenze di un Ebreo), gli esclusivi interessi dei padroni… Durante la seconda guerra mondiale molti anastasiani mostrarono ardimento e coraggio: l’Ammiraglio Carlo Cattaneo, Anastasio Gaetano, Livaldi Gaetano, Francesco Carpentieri, il Sottotenente Giacomo Romano… Anche S.Anastasia venne occupata dai Tedeschi, i quali prima di ritirarsi fecero l’ultima vigliaccata: da Ponte di ferro spararono alcune cannonate contro la Chiesa S. M. La Nova, provocando la morte di nove persone. Non ci fu una strage perchè, secondo alcuni, la statua di S. Anastasia deviò i colpi che erano diretti all’altare maggiore. All’entrata della chiesa vi è una lapide che ricorda questo triste avvenimento. Al referendum costituzionale del 2 giugno 1946 il nostro paese votò a favore della Monarchia e partecipò ai tumulti che seguirono. Nell’ottobre 1946 vinse le elezioni il partito dell’Aquila, una coalizione che comprendeva tutti i partiti (dal PCI all’MSI) con l’esclusione della DC. Venne eletto Sindaco Francesco Beneduce, il quale ricoprì la carica con alterne vicende fino al 1966. Nel 1953 il Sindaco ottenne l’allacciamento del telefono nel suo ufficio. Nel 1954 don Pasquale Attruia venne nominato parroco di S. M. La Nova (alcuni anni dopo elogiato dal prof. Emilio Merone come un uomo nobile che con la sua umiltà seppe ricucire le lacerazioni esistenti nella comunità anastasiana) e mons. Antonio Sodano definiva i nostri contadini “maestri della terra benedetta e inventori della catalanesca”. Infatti, questo vino straordinario fu presentato perfino alla Fiera di Parigi del 1871, riscuotendo un grande successo. Poi, però, non si riuscì ad entrare nel mercato enologico, sperperando un patrimonio immenso. Il commercio delle olive è una delle attività più remunerative degli anastasiani. Ebbe inizio nel 1853 dall’iniziativa del signor Maione in un deposito di via Capestella. Nel 1948 la Magnaghi (fabbrica di cuscinetti a sfere), dopo 20 anni di attività, comunicò al Sindaco di voler vendere l’intero stabilimento, che venne acquistato dalla FAG, e nel 1981 trasferito a Somma Vesuviana. Negli anni cinquanta e sessanta ci fu una massiccia emigrazione verso le città industriali del Nord. Circa 300 famiglie di Sant’Anastasia si trasferirono, ma come tutti gli altri emigranti scoprirono una realtà molto dura fatta di pesantissime emarginazioni e gravi mortificazioni. Nel 1961 nei pressi del Palazzo comunale venne costruita dalla SET la prima centrale telefonica. Nel ’64 Sant’Anastasia era suddivisa in 4 zone: Centro storico, Madonna dell’Arco, via Romani e Ponte di ferro-Starza. Nel ’66 il Sindaco Francesco Beneduce, grazie all’opposizione guidata dall’avv. Antonio Manno, dopo 20 anni lasciò Palazzo Siano per “malcostume amministrativo”.
Come in ogni parte del mondo anche nel nostro paese ci si appassionava al gioco: nel 1799 venne organizzato un torneo al gioco del “trentuno”, mentre al “Lagno Capolavilla” si svolgeva fin dal 1802 la caratteristica corsa degli asini con soma, il vincitore riceveva il “Perticone”. Per quanto riguarda il calcio, la storia è piuttosto articolata e burrascosa. Infatti, già nel 1950 esisteva una valorosa squadra chiamata “Fiamma”, che giocava con grande passione su un terreno ristretto di proprietà Abete e Viola in via Garibaldi. Quando, però, la Federazione Gioco Calcio stabilì che le partite si dovevano svolgere solo su campi regolamentari, la squadra fu costretta a sospendere la sua attività. Ci si rivolse al Comune per la costruzione di un campo sportivo, ma tutto fu vano. Nonostante ciò, nel 1955 venne fondata l’ “U. S. La Speranza” che giocava solo fuori casa, ma seguita calorosamente da più di 1000 tifosi. I risultati erano lusinghieri, però mancava ancora il campo sportivo. I politici fecero mille promesse, senza mantenerne neppure una: una vera desolazione. Il problema venne risolto dalla generosità dei Padri Domenicani, i quali nel 1978 donarono il terreno per la costruzione del sospirato stadio. Da allora la squadra ha raggiunto risultati ragguardevoli, fino a giungere in serie C2.
Nel 1880 i due vetturini De Simone Francesco e Vitale Vincenzo con tre centesimi effettuavano la tratta S. Anastasia – Pomigliano – Tavernanova, e la tratta S. Anastasia – Napoli Porta Capuana costava 5 centesimi (solo andata). Un omnibus a 12 posti e con tiro a quattro cavalli copriva la tratta S. Anastasia – Pomigliano. Nello stesso anno si inaugurò la “S. A. Ferrovia Napoli – Ottaiano” con locomotive a vapore, sostituite nel 1903 da quelle elettriche della società londinese “Thos, Cook and Son” allo scopo di inserire meglio i paesi vesuviani nel circuito turistico internazionale.
La santa a cui è stato affidato il nostro paese venne scelta da Papa Leone X. Sant’Anastasia (cliccare qui) nacque a Roma nel 283 d.C. da Pretestato e Fausta. Era nobile e colta, S. Crisogono era il suo maestro. Mentre era ancora fanciulla rimase orfana della mamma, fu costretta a sposare un pagano di nome Publio, il quale non sopportava vedere la moglie elargire ai poveri le ricchezze avute in eredità, perciò la costrinse a vivere in una sorta di prigionia casalinga, dalla quale si liberò solo alla morte del marito, avvenuta in Persia. Come seguace di Cristo, si recò in Macedonia, dando sollievo a molti oppressi delle carceri; a Sirmio, riconosciuta cristiana, venne sottoposta ad atroci supplizi e affidata al sacerdote idolatra Ulpiano, il quale tentò di possederla, ma senza riuscirci e rimanendo cieco. Allora, il Prefetto romano Probo la fece imbarcare con 120 pagani in una scialuppa fatiscente, pensando che sarebbero tutti annegati. Ma ciò non avvenne; infatti, approdarono all’Isola di Palmaria (probabilmente sulla costa dalmata) convertendo al cristianesimo i pagani del luogo. Ciò provocò una rabbiosa reazione di Probo, il quale fece massacrare un gran numero di cristiani. Anastasia fu legata a 4 pali, arsa viva e decapitata il 25 dicembre del 304. Le sue ceneri vennero raccolte da Apollonia e venerate a Sirmio fino al 460, poi vennero trasferite nella Chiesa del Salvatore Risorto a Bisanzio, che successivamente divenne una Basilica ortodossa, in cui si festeggia la santa il 22 dicembre.
L’apertura della prima farmacia venne negata al primo laureato anastasiano dottor Vincenzo Miranda, ma consentita al dottor Luigi Ceraso di Portici nel 1875, che la cedette cinque anni dopo al dottor Luigi Liguori. Nel 1886, infine, venne rilevata dalla famiglia De Luca. Dopo 50 anni di monopolio assoluto, nel 1927 fu consentita l’apertura della farmacia del dottor Nicola Coppola (successivamente rilevata dal dottor Corleto, proveniente dalla provincia di Frosinone). Nel 1959 la terza farmacia venne decretata al dottor Bologna a Madonna dell’Arco e nel 1993 la quarta al dottor Romano in località Romani.
A una tavola rotonda svoltasi a New York nel 1992 a cui parteciparono vari studiosi di economia e politica, il Vescovo della città e il nostro Sindaco Cosimo Scippa (il quale illustrò la storia, i sentimenti e i valori del nostro paese e del Meridione), alcuni osservatori americani molto attenti alla nostra realtà fecero delle domande ben precise: come mai il Meridione d’Italia, pur avendo una storia e una cultura elevatissime, è in preda ad un profondo torpore, convive con la camorra, la mafia e la corruzione? Perché quasi sempre le persone meno intelligenti e meno meritevoli vanno al Parlamento o diventano legislatori? Domande che dovrebbero farci riflettere molto.
Un insegnamento preziosissimo lo abbiamo ereditato proprio da Cosimo Scippa, nobilissimo Sindaco di Sant’Anastasia (purtroppo, deceduto nel 1999): “La speranza che vive in me è che ciascuno di noi sia ‘libero’ nella nuova società e apporti un afflato vitale, fondato su valori tradizionali e morali.” (Cosimo Scippa, Municipalità, vol. I, p.113). “Non c’è nulla che potrà mai sostituire la coscienza, i valori e i sentimenti; siate leali, generosi, altruisti, sinceri e non abbiate paura dei prepotenti, dei furbi… Amate questo nostro punto di terra ferma, bella e soave.” (da “Municipalità” vol. III).
Per informazioni più approfondite si consiglia di leggere i suddetti libri e “Municipalità” vol. II dello stesso autore.